Quando c'è di mezzo Amazon, la polemica è garantita. Anche se, come nel caso dei braccialetti di cui si parla in questi giorni, c'è solo un brevetto e nulla più (cliccando qui è possibile consultare la documentazione completa).
Ma qual è la funzione di questi braccialetti? Lo ha spiegato Il Post con un articolo del 2 febbraio 2018, di cui riporto questo passaggio:
«Come è spiegato sul brevetto del dispositivo, i braccialetti di Amazon servirebbero solo per aiutare i dipendenti a trovare la giusta merce sugli enormi scaffali dei magazzini della società.
GeekWire, il sito di tecnologia che per primo ha riportato la notizia dei brevetti, ha scritto che i braccialetti si triangolerebbero con dei sensori sugli scaffali dei prodotti in modo da sapere immediatamente se i dipendenti hanno preso il giusto prodotto dalla mensola. I braccialetti servirebbero quindi a misurare la posizione della mano di un dipendente in relazione a uno scaffale, e non a controllarne i movimenti durante l’orario di lavoro. Secondo GeekWire il braccialetto potrebbe anche vibrare per far capire al dipendente che lo indossa se ha preso il prodotto corretto dallo scaffale, una verifica che ora viene fatta successivamente con altri sistemi di controllo automatici».
Proviamo ora a vedere cosa prevede la normativa sui controlli a distanza, tema che si presenta con forza quando si vuole introdurre un nuovo dispositivo, una nuova tecnologia, negli ambienti di lavoro. E che, a mio parere, si presenterà certamente nel caso di adozione dei "braccialetti Amazon".
Le regole dei controlli a distanza si trovano nell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, la Legge n. 300 del 1970, così come modificato nel 2015 da uno dei decreti attuativi del Jobs Act. E prevedono:
Le telecamere e altri strumenti da cui derivi la possibilità di un controllo a distanza possono essere utilizzati solo per:
esigenze organizzative e produttive,
la sicurezza del lavoro,
la tutela del patrimonio aziendale;
possono essere installati solo previo accordo con le organizzazioni sindacali;
in mancanza di accordo è necessaria l'autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro;
le informazioni raccolte sono utilizzabili, a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, solo a queste condizioni:
se è data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli,
nel rispetto della normativa privacy;
i punti 1, 2 e 3 NON si applicano agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze;
il punto 4 si applica SEMPRE, in ogni caso.
Il Legislatore (delegato) del 2015, confermando l'impianto originario del 1970 nel subordinare la legittimità dei controlli a distanza ad un accordo sindacale o, in mancanza, all'autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro, ha introdotto alcune importanti novità in un norma decisamente datata (1970) e non più al passo coi tempi.
Da un lato ha infatti sottratto dalla procedura autorizzatoria (sindacati o Ispettorato) tutti gli strumenti di lavoro (tema più dibattuto e controverso) e di registrazione delle presenze (es. badge).
Dall'altro ha però previsto espressamente che le informazioni raccolte possono essere utilizzate solo se il lavoratore è stato informato sulle modalità d'uso dello strumento e sul come i controlli possono essere effettuati e, comunque, sempre nel rispetto della sua privacy. A mio parere si è voluto così spostare le tutele a favore del lavoratore da un piano collettivo (il sindacato) o amministrativo (l'Ispettorato) ad un piano individuale (l'adeguata informazione, da non confondere con l'informativa privacy) e si è voluto rafforzare tali tutele mettendo al centro il rispetto della privacy degli interessati, i lavoratori.
Come detto, il tema più dibattuto e controverso ruota intorno alla definizione di "strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa".
L'Ispettorato Nazionale del Lavoro, naturalmente, è già intervenuto con sue Circolari per (dico io) timore di perdere il suo potere autorizzatorio scippatogli dal Jobs Act. E ha affermato che sono strumenti di lavoro solo quelli indispensabili per rendere la prestazione lavorativa o quando il loro utilizzo è richiesto da specifiche normative di carattere legislativo o regolamentare.
Ma, al netto della lettura - non richiesta - dell'Ispettorato, cosa può essere definito strumento di lavoro?
Lo è, ad esempio, il tablet assegnato ad un tecnico cui viene chiesto di mantenere acceso il gps in modo da consentire al datore, tramite una specifica app, di geolocalizzarlo per potere allocare lui e non un suo collega, più distante, presso l'abitazione di chi richiede assistenza? A mio parere sì. Quindi nessun accordo sindacale è necessario ma la app che consente la geolocalizzazione non potrà effettuare un monitoraggio costante e continuo della posizione del tecnico e il datore di lavoro potrà conservare i dati di geolocalizzazione solo per il tempo strettamente necessario, per poi cancellarli da ogni supporto (oggi questi aspetti li vaglia previamente il Garante Privacy pronunciandosi con un suo provvedimento, domani - 25 maggio 2018 - con l'entrata in vigore del Regolamento UE Privacy - l'ormai noto e famoso GDPR - li dovrà garantire e saper comprovare il datore di lavoro/titolare dei dati, in applicazione del principio della accountability che lo responsabilizzerà ancor di più).
Ma, in tutto ciò, i "braccialetti Amazon" sono o non sono strumenti di lavoro o, meglio, "strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa"? A mio parere sì. Ma, chi vivrà vedrà; visto che allo stato attuale null'altro sono che un brevetto. Di certo dovranno rispettare le disposizioni dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori che, se nel frattempo non sarà modificato, dispone in ogni caso, come visto, il pieno e integrale rispetto, a tutela dei lavoratori, della normativa privacy.
Mi piace quindi concludere questo mio post con le parole di Antonello Soro (Presidente della Autorità garante per la protezione dei dati personali, Garante Privacy) pronunciate il 2 febbraio 2018 a Radio Radicale proprio sul tema di "braccialetti Amazon":
«La giurisdizione del lavoro non ha barriere mobili tali da poter pensare che un’azienda degli USA possa fare in Italia quello che vuole, io mi auguro da nessuna parte del mondo. L’ipotesi di cui si discute è un’ipotesi di ulteriore delega della organizzazione della vita alle tecnologie e come tale con una progressiva compressione delle libertà dell’uomo. E’ un processo che è in corso da tempo rispetto al quale occorrerebbe una maggiore attenzione in generale del dibattito pubblico. Se è vero che da molte parti si teme che nel futuro possa esserci una contrazione dei posti di lavoro dell’occupazione per far spazio ai robot e all'automazione, in questo caso sembrerebbe quasi che i giganti che operano nel sistema e nell'economia digitale pensino già di robotizzare l’uomo, facendo un ulteriore salto in quella direzione.
E’ una direzione sbagliata perché non possono esserci progresso e innovazione che non abbiano come fondamento l’uomo, altrimenti non sarebbe un futuro di benessere e crescita, ma sarebbe una rinuncia, una dispersione di conquiste della civiltà e delle libertà maturate nel corso della storia».