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  • Andrea Morzenti

Ho intervistato Di Maio


Ieri 14 luglio è stato l’anniversario del decreto cosiddetto dignità. Un anno esatto dall'entrata in vigore di uno dei decreti bandiera del governo gialloverde, più giallo che verde in questo caso.

Qui ne ho scritto parecchio, forse pure troppo, da ultimo Continuavano a chiamarlo dignità. Se tempo e voglia ve lo consentono, trovate a questo link la mia lettura completa sulle tappe che vanno dalla presentazione del decreto, alla sua approvazione, fino ad arrivare alla conversione in legge.

Ora la Lega vorrebbe fargli un tagliando, consentendo ai contratti collettivi di introdurre nuove causali. Ma il Cinquestelle non ci sta, e con Di Maio dice: “il decreto dignità non si cambia nemmeno una virgola! Dopo i fallimenti del Pd, abbiamo messo in campo il primo provvedimento che finalmente sta creando lavoro”.

 

[disclaimer: l’intervista che segue è frutto della mia fantasia e immaginazione. Ogni riferimento a opinioni e pensieri realmente espressi o a fatti realmente accaduti, è puramente casuale]

IO GIORNALISTA. Buongiorno Ministro e grazie per aver accettato questo mio invito.

MINISTRO DEL LAVORO. Buongiorno a Lei.

IO. Oggi [ieri per chi legge, ndr] è la festa nazionale francese. Già, ma non voglio parlare della Francia con Lei perché ci porterebbe molto lontano e forse non è il momento di riaprire questo fronte. Per l’Italia è il primo anniversario del decreto dignità, anche se io tra decreto e dignità ci metto sempre un “cosiddetto”, che preferisco. Rifarebbe quel decreto?

MINISTRO. Guardi, il decreto dignità - mi lasci dire non c’entrano nulla i cosiddetti [ride] - è stato, ed è, un decreto sacrosanto. Il prof. Tridico e io l’avevamo messo giù un po’ meglio, ma poi in Consiglio dei Ministri ci è toccato adattarlo alle varie componenti e diverse sensibilità della maggioranza di governo. Ma se assumi a termine, devi dire al lavoratore il perché. Altrimenti lo stai ricattando. [questa è la tesi del prof. Alleva, ndr]

IO. [Mmm] Nelle premesse leggo di “misure a tutela della dignità dei lavoratori e delle imprese, introducendo disposizioni per contrastare fenomeni di crescente precarizzazione in ambito lavorativo, mediante interventi sulle tipologie contrattuali”. La dignità è una condizione di nobiltà morale (cit. Treccani), non trova un po’ eccessivo il termine che avete utilizzato per caratterizzare il decreto? Quanto c’è, in quel termine, di marketing politico e propaganda?

MINISTRO. L’Italia è un Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Cito a memoria la nostra Costituzione, magari potrei sbagliare qualche parola – anche se non credo - ma il senso è quello lì [qui pare un po’ Bersani, ndr]. Non si scherza sul lavoro. Siamo orgogliosi di aver ridato dignità al lavoro, a chi lavora.

IO. Per la prima volta, vado a memoria anch'io, il termine “precarizzazione” entra in un testo di legge. È un’accezione negativa della flessibilità. Ce n’era davvero bisogno? E perché incidere solo sul contratto a termine, diretto e in somministrazione, con il rischio che aumentino così forme contrattuali meno “dignitose” per i lavoratori?

MINISTRO. Intendiamoci, dopo un anno esatto i dati ci stanno dando ragione. Lo dicono sia l’INPS che l’ISTAT. I contratti a termine sono in diminuzione, mentre aumentano i contratti a tempo indeterminato.

IO. Mario Seminerio, in arte @Phastidio, sul suo blog phastidio.net scrive che “il decreto dignità pare aver spinto i contratti di precariato vero, soprattutto ai danni dei soggetti con meno competenze, danneggiando forme di flessibilità maggiormente tutelata come la somministrazione” [link al post completo). Sempre Seminerio - ricordo disse che Renzi sarebbe capace di vendere pettini ai calvi, quindi non propriamente un renziano [io su twitter sono stato bloccato, seguo Mario Semiserio @Phastidi, il suo parody account, ve lo consiglio] - conclude il suo post con “prossima tappa: il decreto dignità che fa liquefare il sangue di San Gennaro”. I dati INPS registrano un forte aumento del contratto intermittente e un boom delle prestazioni occasionali, oltre ad un aumento del part-time involontario. Ora, Ministro, non crede che il decreto [cosiddetto] dignità stia raggiungendo finalità opposte rispetto a quelle che vi eravate prefissati?

MINISTRO. Guardi, i dati sono una brutta bestia. Bisogna saperli leggere e analizzare. Con calma, attenzione e competenza. All’ANPAL, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, abbiamo ora il prof. Mimmo Parisi, un grandissimo esperto di dati. Attendiamo di capire da lui il vero andamento del mercato del lavoro, non certo da un blog.

IO. C’è chi sostiene [io, ad esempio, ndr] che l’aumento delle trasformazioni a tempo indeterminato sia l’effetto e la coda del regime transitorio, introdotto con la legge di conversione del decreto. Sono i contratti acausali, più lunghi e semplici prorogati ancora con le vecchie regole e ora non più prorogabili/rinnovabili per effetto del decreto, che sono diventati tempi indeterminati. Per i nuovi, più brevi, il turnover ahimè è invece molto concreto. Non vede anche Lei questo rischio?

MINISTRO. Il regime transitorio è un’idea di Salvini, dovrebbe chiederlo a lui non a me. Io con lui, su questo, non ho mai scommesso nemmeno un rublo. [sorride, un po' amaro]

IO. Due parole sulle causali, che tanto hanno fatto discutere per la loro – a detta di molti – impraticabilità e possibile causa di contenzioso. La più utilizzabile, in teoria, dovrebbe essere quella riferita all'aumento della attività ordinaria. Ma le caratteristiche che deve avere l’incremento dell’attività - i tre aggettivi che avete scritto nel decreto sono: temporaneo, significativo, non programmabile - rischiano di rendere questa causale, appunto, impraticabile. Che dice Ministro?

MINISTRO. Ascolti, un mio amico ha un’azienda che produce gelati. Tra dicembre e gennaio ha avuto un incremento dell’attività ordinaria, la produzione di gelati appunto. Era certamente temporaneo (due mesi, anche meno), significativo (non poteva evaderlo con l’organico in forza, neppure utilizzando tutti gli straordinari possibili per legge) e non programmabile (neppure un indovino poteva pensare un aumento della richiesta di gelato in pieno inverno). E potrei farLe altre centinaia di esempi. Vede che non è un problema? Nessuna impraticabilità. E se invece era prevedibile, ecco, bastava prevederlo.

IO. [Ah] Un’ultima domanda Ministro, a cui tengo particolarmente. A novembre dello scorso anno Lei ha dichiarato, cito testualmente, che la somministrazione di lavoro “molto spesso è una nuova forma di caporalato”. Personalmente ho inventato e lanciato l’hashtag #IoNonSonoUnCaporale, rilanciato poi sui social dai molti che lavorano nelle Agenzie per il Lavoro ma anche da molti giuslavoristi, giornalisti e addetti ai lavori [piccolo spazio pubblicità: link alla mia intervista - vera non inventata come questa mia qui – a Goffredo Pistelli, giornalista maestro nel fare interviste, con qui all'epoca ho avuto la fortuna e l’onore di fare una bella chiacchierata sul tema]. Ministro, direbbe ancora, oggi, che le Agenzie per il Lavoro sono Caporali?

MINISTRO. No, è stato un errore che non rifarei più. Ho approfondito e capito cosa fanno davvero le Agenzie per il Lavoro. Anzi, colgo l’occasione per chiedere scusa.

IO. Grazie Ministro, alla prossima.

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