Riders by law (o per nascita?)
- Andrea Morzenti
- 9 set 2019
- Tempo di lettura: 3 min

Il fu Ministro del Lavoro Luigi di Maio (ora sta agli Esteri, a studiare a nostre spese l’inglese, la storia e la geografia, che dicono sia un po’ carente, ricordate il Pinochet del Venezuela?), appena insediato a giugno 2018, incontrò i riders e promise come primo atto del suo Ministero una norma per garantire loro diritti e tutele.
Per uno strano gioco del destino, la norma sui riders (approvata durante l’ultimo Consiglio dei Ministri del governo Conte1, il 6 agosto 2019, 14 mesi dopo quel “sarà il primo atto del mio Ministero”) entra in vigore giovedì 5 settembre 2019, lo stesso giorno in cui giura il governo Conte2 e data da cui, quindi, Luigi di Maio non è più Ministro del Lavoro.
Ma chi sono i riders?
Io li vedo a Milano. Li osservo. Il mio metodo empirico, certo non scientifico mi scuserete, mi dice sono ragazzi per lo più extracomunitari, che pedalano in fretta, per pochi euro, per portare nelle case dei milanesi hamburger ancora caldi o uramaki del sushi ancora ben allineati. Da gustare soli o con gli amici, magari davanti a Sky o a Netflix. È così che nascere in Gambia o a Milano segna la vita di ciascuno di noi.
Il Decreto Legge n. 101/2019 - come detto entrato in vigore il 5 settembre - li definisce, un po’ più asetticamente di me, così: “lavoratori impiegati nelle attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all'articolo 47, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 attraverso piattaforme anche digitali”. Insomma, in bicicletta o in motorino.
Così io leggo sulla Gazzetta Ufficiale, anche se altri testi circolati a ridosso della pubblicazione dicevano invece “con ausilio di veicoli a due ruote o assimilabili” (?!). Chissà se anche questo piccolo dettaglio è conseguenza di uno dei tanti “salvo intese” che abbiamo letto nei verbali degli ultimi Consigli dei Ministri.
Ecco, “al fine di promuovere un’occupazione sicura e dignitosa e nella prospettiva di accrescere e riordinare i livelli di tutela” a tutti questi lavoratori, occupati con rapporti di lavoro non subordinato, è dedicato il nuovo "Capo V-bis – Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali" del d.lgs. n. 81/2015, introdotto dal DL n. 101/2019.
Capo V-bis che, però, con buona pace dei requisiti costituzionali di straordinaria necessità ed urgenza, si applicherà soltanto decorsi 180 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto. E, visto che la maggioranza parlamentare da gialloverde che era, nel frattempo è diventata giallorossa, qui mi limito e segnalare e non certo a commentare.
Di immediata applicazione, invece, è la modifica al comma 1 dell’articolo 2 del d.lgs. n. 81/2015. Il DL infatti introduce, alla fine del comma citato, questo periodo: “Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme digitali” (e non “ai lavoratori delle piattaforme digitali” come recitava il testo diffuso prima della pubblicazione in Gazzetta, il "salvo intese" ha colpito ancora?).
Cosa significa? Ci provo.
Dal 1 gennaio 2016, per effetto di un decreto attuativo del famigerato, brutto e cattivo Jobs Act, la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, si applica ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro i) esclusivamente personali ii) continuative e iii) le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Dal 5 settembre 2019, per effetto del DL, a mio parere, ferma la necessità di comprovare i requisiti i) e ii), per poter accedere alle tutele del rapporto di lavoro subordinato, le modalità di esecuzione, in alternativa al punto iii), potranno anche essere iv) organizzate mediante piattaforme digitali.
Perché è mediante (per il tramite del) le piattaforme digitali che i riders, con un certo loro grado di autonomia, organizzano le modalità di esecuzione della propria prestazione lavorativa (disponibilità al lavoro, turni di lavoro, accettazione e tracciatura della consegna, …). Non è certo il committente a farlo.
Vero è che la poca giurisprudenza in merito era già giunta a questa conclusione (in particolare con la nota sentenza della Corte d’Appello di Torino sui riders di Foodora, qui un mio piccolo commento). Ora però, con questa modifica normativa, il testo di legge sembra meglio recepire le caratteristiche peculiari della cosiddetta gig economy. I riders potranno così restare collaboratori autonomi, coordinati e continuativi, ma con le tutele - in primis retributive - tipiche del lavoro subordinato.
Tutto ciò in attesa della legge di conversione di questo Decreto Legge, della legge sulla rappresentanza sindacale, dell’erga omnes della parte economica dei contratti collettivi, del salario mimino legale.
Il governo giallorosso ci saprà stupire?
Comments