[disclaimer: questo post non vuol trattare di aspetti tecnici, di interpretazione e di effetti delle norme; lo faremo un'altra volta, forse]
I cinquestelle, o i grillini o i contini come preferite, non gradiscono i contratti di lavoro a tempo determinato, a maggior ragione se in somministrazione; è fatto notorio. Più o meno tre anni fa, era il 14 luglio 2018, approvarono il famoso decreto che diede dignità a tutti quanti (poi, da lì a poco, abolirono pure la povertà). Ma ahimè arrivò una pandemia. E la dignità si perse per strada.
Allora sospesero qua e là gli effetti di quel decreto. Cancellarono la causale, ma solo per una volta (forse due) e non oltre il 31 dicembre di quest’anno. La stessa data di scadenza la misero sui contratti di quei lavoratori assunti a tempo indeterminato e assegnati in somministrazione a termine. Ecco, questi possono lavorare presso lo stesso utilizzatore senza limiti di tempo ma, appunto, non oltre il 31 dicembre 2021. La possiamo chiamare la normativa a tempo dei cinquestelle.
In questi giorni stanno provando a replicare lo stesso schema (ri-disclaimer: non entro qui nel tecnico), nel consentire ai contratti collettivi di lavoro la possibilità di introdurre specifiche esigenze (causale) per i contratti a termine. Con il comma 1.1 (credo unico caso nel panorama giuridico mondiale) messo lì in mezzo tra il comma 1 e il comma (già impegnato) 1-bis, proverebbero a stemperare gli effetti definitivi e non a tempo della (possibile) nuova lettera b-bis del comma 1, introducendo la scadenza del 30 settembre 2022 (l’articolo è il 19 del decreto legislativo n. 81/2015, modificato dal decreto dignità e ora sotto scacco dalla legge di conversione del decreto sostegni bis). Tutto sempre a tempo.
Del resto, abbiamo visto lo stesso schema quando Beppe Grillo ha sentenziato che Giuseppe Conte non ha visione politica né capacità manageriale. Tutto a tempo, il tempo di una spigola e del suo patto. Poi Giuseppi è diventato leader.
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