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  • Andrea Morzenti

Causali che impediscono causali



In settimana, durante un webinar sul decreto lavoro, il prof. Arturo Maresca ha – credo – stupito un po’ tutti con una sua lettura delle nuove causali del contratto a termine. Sempre di una chiarezza quasi disarmante, ha ripetuto più volte – facendo leva sul dato letterale – che secondo lui le causali introdotte ai sensi dell’ormai abrogata lettera b-bis (dell’art. 19, comma 1, decreto legislativo n. 81/2015, che non citerò più) non solo mantengono efficacia anche dopo l’entrata in vigore del decreto lavoro, ma non sono impeditive della causale individuale.


A me, di primo acchito, (mi scuserà il professore) è sembrato un voler la botte piena e la moglie ubriaca.


Piccolo passo indietro, credo doveroso.

Il decreto lavoro, in vigore dal 5 maggio scorso, prevede che quando è necessaria la causale per un contratto a termine (o sua proroga) la stessa è da rinvenirsi nei contratti collettivi (lettera a). Solo in assenza di previsione collettiva, e solo sino al 30 aprile del prossimo anno, le parti individuali del rapporto di lavoro possono individuarne una in autonomia (lettera b). In altre parole, la causale collettiva – se presente – è impeditiva della causale individuale.


Ci si è quindi domandati se le causali introdotte dalla contrattazione collettiva (lettera b-bis) prima dell’entrata in vigore del decreto lavoro mantengono efficacia oppure no. La risposta della dottrina oggi pare essere perlopiù affermativa.


Ma se mantengono efficacia, come possono non essere anche impeditive come sostiene il prof. Maresca? A me, non tornava proprio. Perché, pensavo, delle due l’una: i) o non mantengono efficacia in quanto in attuazione di una norma (lettera b-bis) ora abrogata oppure ii) se mantengono efficacia hanno lo stesso effetto delle nuove causali collettive (lettera a), cioè impediscono la causale individuale (lettera b). Altrimenti, a concludere diversamente, avremmo tre fonti di causali (collettiva ante decreto lavoro, collettiva post decreto lavoro, individuale) e non due (collettiva, individuale) come vuole oggi la legge.

Poi, nel chiuso della mia cameretta, mi sono imbattuto nel contratto collettivo delle scuole materne (FISM) rinnovato da poco, il 1 marzo 2023. Nell'articolo sul contratto a termine (art. 21) si legge un elenco di tre causali introdotte ai sensi dell’abrogata lettera b-bis. E ho pensato: le parti sociali, quando hanno introdotto quelle causali non l’hanno fatto certo in via esclusiva ma, invece, le hanno volute aggiungere a quelle già consentite dalla legge (decreto dignità). Hanno cioè esteso, senza voler impedire nulla e niente a nessuno. Se quelle causali oggi sono ancora valide, come possiamo dire che sono le uniche e, di conseguenza, impeditive della causale individuale? Oggi se i contratti collettivi prevedono causali (lettera a) sanno, fin da subito, che le loro saranno le uniche possibili. Ma prima non era così. E non possiamo, credo, addossare alle parti sociali un ruolo e una responsabilità che la legge prima non assegnava loro.


E fu così che le mie argomentazioni di natura sostanziale andavano pian piano a collimare con la conclusione a cui il prof. Maresca è giunto seguendo un piano di natura più formale. Il ragionar nel chiuso della cameretta ha degli effetti incredibili, mi sono detto.


Ora, come si dice spesso in questi casi, ai posteri l’ardua sentenza. Di sicuro la decisione su quella lettura seguire, cioè se la causale collettiva ex abrogata lettera b-bis sia impeditiva oppure no della causale individuale, è come sempre rimessa al singolo datore di lavoro (nella somministrazione di lavoro leggasi utilizzatore).

Se infatti un datore (utilizzatore) scegliesse di individuare una causale ritenuta poi da un giudice impedita, la conseguenza – trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato – sarebbe a suo esclusivo carico.


Intanto il tema, per gli interpreti, resta di sicuro appassionante.

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