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Presi per il cuneo

  • Andrea Morzenti
  • 1 ott 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

"I contratti a termine devono costare di più del contratto a tempo indeterminato". "Dobbiamo ridurre il cuneo contributivo".

Erano cavalli di battaglia di Romano Prodi.

Poi, con la Finanziaria del 2007 (all'epoca si chiamava così la Legge di Stabilità o - come la chiamava Renzi - semplicemente "la Stabilità", un po' come quando diceva "riunione a Chigi" omettendo "Palazzo") il governo Prodi aumenta il carico contributivo conto lavoratore (+0,30%, da 8,89% a 9,19%), e il Manifesto titolò "Presi per il cuneo".

Poi venne il tempo di Mario Monti, Riforma Fornero, estate 2012. E i contratti a termine iniziano a costare di più per davvero, l'1,4% in più (tranne i contratti stagionali, quelli per sostituzione e quelli della Pubblica Amministrazione). Obiettivo: favorire le assunzioni con contratto a tempo indeterminato (che costa uguale, ma il contratto a temine costa di più) e far finanziare la indennità di disoccupazione (ASpI ora NASpi) ai datori di lavoro che assumono a termine, con l'assunto che creano un maggior numero di disoccupati.

E siamo quasi ai giorni nostri. Il governo di Matteo Renzi, per favorire le assunzioni con contratto a tempo indeterminato, introduce l'incentivo economico (credo) più utilizzato della storia italiana: l'esonero contribuito totale (col tetto di 8.060 euro annui), triennale, semplicissimo da richiedere (vera chiave del successo), a chi assume a tempo indeterminato nel corso del 2015. E le assunzioni a tempo indeterminato si impennano (semicit.).

E oggi? Si legge che il governo di Paolo Gentiloni vorrebbe aumentare (ancora) il costo del contratto a termine, raddoppiando l'addizionale NASpI, che così passerebbe dal 1,4% attuale al 2,8%. E, forse, dopo tre anni di assunzione a tempo indeterminato, solo per gli assunti dal 7 marzo 2015 (quindi "a tutele crescenti"), ridurre il cuneo contributivo del 3%. Se fosse così, la forbice tra i contratti a termine e i contratti a tempo indeterminato sarebbe pari a quasi sei punti percentuali.

Il motivo? L'aumento dei contratti a termine a discapito dei contratti a tempo indeterminato registrato in questi ultimi mesi.

In attesa di capire quali saranno le scelte del Governo, qui mi limito a riportare alcuni tweet letti negli ultimi giorni che mi sono parsi interessanti:



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