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  • Andrea Morzenti

Se citofonando... (Salvini & Riders)


È stato il citofono a farla da padrone in questi giorni.

C’è chi lo ha suonato, con codazzo di giornalisti e telecamere al seguito, per chiedere a un diciassettenne di origine tunisina se spaccia. Altri lo suonano per portarci la cena, perché siamo sempre in altre faccende affacendati (lo smartphone, la palestra, Netflix, Sky), il nostro tempo e la nostra voglia di cucinare sono sempre meno, e uscire non sia mai che magari, di questi tempi, tocca pure incontrare un cinese (nel senso di persona, non ristorante).

Il primo suonatore di citofono era, fino a pochi mesi fa, nientemeno che Ministro dell’Interno con disprezzo, sì lo si può dire senza timore di smentita, dello straniero. I secondi sono i riders, ragazzi per lo più stranieri, che pedalano in fretta, per pochi euro, per portare nelle nostre case sushi ancora ben allineati o hamburger ancora caldi. È così che nascere in Gambia o a Milano segna la vita di ciascuno di noi.

 

Ecco che ora, su quei “pochi euro” si è espressa la Cassazione (caso Foodora, noto alle cronache) stabilendo che ai riders si applica la disciplina del lavoro subordinato e, quindi, la retribuzione va ricercata in un contratto collettivo. E questo anche se non sono lavoratori dipendenti ma “solo” collaboratori, la cui attività lavorativa non è diretta ma “solo” organizzata dal datore di lavoro.

Sentenza figlia del Jobs Act, quell'insieme di norme che ha (aveva) messo al centro il lavoro subordinato, favorendone l’insaturazione (i contratti a termine liberi fino a tre anni), la stabilizzazione (gli esoneri contributivi e norme chiare e certe in caso di licenziamento illegittimo), la mobilità dentro il rapporto di lavoro (la possibilità di variare le mansioni senza patemi d’animo). E ha combattuto il falso lavoro autonomo (abolendo il contratto a progetto, uno dei contratti più abusati della storia del diritto del lavoro) e dato, appunto, garanzie ai collaboratori coordinati e continuativi (i mitici co.co.co.) quando la loro attività è etero organizzata (brutto termine, meglio organizzata da altri).

La sentenza, come spesso accade, ha dato il là a varie letture e interpretazioni.

Un po’ perché la norma non brilla certo per chiarezza (ora il testo è pure modificato rispetto all’originario), un po’ perché la sentenza in alcuni passaggi è un po’ pilatesca, un po’ semplicemente perché in Italia, diciamolo, ci piace così ("è il suo bello”, direbbe mio papà, in dialetto però).

Per alcuni commentatori, infatti, la Cassazione convalida l’Appello confermando le garanzie e le tutele a favore dei riders; per altri lo ribalta, perché non è più previsto un terzo genere, una via di mezzo tra subordinato e autonomo: ai riders si applicano ora tutte le tutele, non solo alcune, previste per il lavoro subordinato. Una buona sintesi l’ha scritta, a mio, parere l’avvocato Carlo Alberto Nicolini su ilsussidiario.net ("Tra legge e sentenze si va verso il lavoro subordinato").

Ora, credo sia opinione condivisa, la palla passa alle parti sociali, chiamate a un compito non certo semplice anche perché un po’ fuori dai loro classici schemi: quello di scrivere un contratto collettivo che si ricordi, e prenda atto, delle indubbie peculiarità che si porta con sé la cosiddetta Gig Economy.

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