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Andrea Morzenti

Voglio (ancora) l'art. 18! Posso?


Una delle domande più frequenti in tema di articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è: se oggi cambio lavoro, ho un tempo indeterminato con l'art. 18 e voglio mantenerlo, posso? Posso cioè chiedere al mio nuovo datore di lavoro di riportarlo sul mio nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato, al posto delle tutele crescenti introdotte dal Jobs Act?

 

Un premessa però è d'obbligo: cosa sono le tutele crescenti? Vediamo un po':

  • si applicano a tutti i lavoratori assunti (o contratto a termine trasformato) a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;

  • non è un nuova tipologia contrattuale, si tratta sempre di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

  • non è un recesso (licenziamento) libero con penale;

  • non cambiano i presupposti del licenziamento, ma le conseguenze dei licenziamenti illegittimi: la regola diventa l'indennizzo economico (certo e crescente con l'anzianità di servizio) mentre la reintegrazione sul posto di lavoro diventa un'eccezione prevista per licenziamenti "gravemente" illegittimi, ad esempio discriminatori;

  • se il licenziamento è legittimo, al lavoratore non viene riconosciuto nulla.

E quindi, può un lavoratore contrattare, individualmente, con il proprio datore di lavoro l'art. 18 al posto delle tutele crescenti?

Due sono i punti da valutare:

  1. l'art. 18 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) esiste ancora o è stato abrogato?

  2. se l'art. 18 esiste ancora, è sempre di miglior favore per il lavoratore rispetto alle tutele crescenti previste per legge (condizione questa necessaria per potere essere contrattata individualmente tra datore e lavoratore)?

Sul punto 1.

Vero che il Jobs Act (d.lgs. 23/2015) non ha abrogato espressamente l'art. 18 (del resto continua ad applicarsi a milioni di lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015). Ma le norme possono anche essere abrogate tacitamente "per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore" (art. 15 delle Preleggi). E questo può essere certamente considerato un caso di abrogazione tacita.

Sul punto 2.

(Senza entrare qui nella valutazione se è meglio reintegro o indennizzo), facciamo questo esempio: lavoratore, con 10 anni di anzianità, licenziato per giustificato motivo oggettivo (economico). Il giudice valuta il licenziamento illegittimo perché il fatto posto alla base del licenziamento è insussistente (non anche manifestamente insussistente, previsione normativa questa che troviamo nell'art. 18 modificato dalla Riforma Fornero, Governo Monti, del 2012 a seguito dell'accordo tra Alfano, Bersani, Casini).

Applicando l'art. 18 il Giudice riconosce al lavoratore illegittimamente licenziato un indennizzo economico pari a 12 mensilità (l'art. 18 prevede una forbice da 12 a 24 mensilità con criteri parecchio fumosi che assegnano al Giudice un ampio potere discrezionale sul quantum).

Applicando le tutele crescenti il Giudice riconosce invece al lavoratore illegittimamente licenziato un indennizzo economico pari a 20 mensilità (le tutele crescenti, a differenza del'art. 18, non assegnano al giudice alcun potere discrezionale al giudice, prevedendo una formula "matematica": due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24).

Sulla base di questo esempio si può quindi concludere che no, l'art. 18 non è sempre una condizione di miglior favore per il lavoratore illegittimamente licenziato.

Quindi, in caso di licenziamento illegittimo, il Giudice potrebbe continuare ad applicare le tutele crescenti e non l'art. 18 faticosamente contrattato dal lavoratore in fase di assunzione perché, come visto sopra, ritenuto i) abrogato e ii) non sempre necessariamente di miglior favore e, pertanto, non contrattabile. Quindi, dopo tanta fatica, oltre il danno (del licenziamento) anche la beffa (l'applicazione di una norma che si è voluto escludere).

Il lavoratore invece ben potrebbe, in fase di assunzione, contrattare un miglioramento delle tutele crescenti. Prevedendo una crescita più veloce dell'indennizzo economico (ad es. 3 mensilità, al posto di 2, per ogni anno di servizio) e/o un numero di mensilità più elevate come minimo e massimo (al posto delle minime 4 e massime 24 previste dalla legge).

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