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Andrea Morzenti

Ci sono stagioni e stagioni. Storia di un contributo Inps


L’occasione ce l’ha data la Circolare Inps del 6 settembre 2019, quella sull'incremento (0,5%) del contributo addizionale NASpI (1,4%) dovuto nei casi di rinnovo dei contratti a termine (anche in somministrazione), arrivata appena 14 mesi dopo l’entrata in vigore della norma (decreto dignità, 14 luglio 2018). Solo poco più di un anno di ritardo.

Praticamente in perfetto orario, non c’è che dire, se la paragoniamo però alla Convenzione tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria con Inps e Ispettorato del Lavoro sulla rappresentanza sindacale, firmata in questi giorni dopo poco meno di sei anni di attesa.

In Italia va così. È sempre andata così, mi ha detto uno che ci capisce.

Ma dobbiamo rassegnarci a che vada sempre così? O l’Italia può essere più Viva? Ma oggi non voglio parlare di yogurt.

 

Dicevo che l’occasione ce l’ha data l’Inps, con il suo +0,5% incrementale aggiuntivo. Per parlare di cosa? Di attività stagionali. Sul resto della Circolare ci scrivo un’altra volta, che ora è ancora presto.

Attività stagionali, due le possibili fonti: una legale, una pattizia. Un Decreto del Presidente della Repubblica, un contratto collettivo (anche aziendale).

In entrambi i casi, tanto che l’attività stagionale sia prevista dal DPR quanto nel caso in cui sia prevista da un contratto collettivo, ne conseguono benefici di natura normativa: i) NON serve la causale, che scrivere sul contratto a termine la specifica stagionalità è più che sufficiente ii) NON sono previsti limiti quantitativi sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato, ma solo in caso di contratto a termine e non anche per la somministrazione e non si è ancora capito il perché iii) NON è necessario rispettare una interruzione temporale (lo chiamiamo tutti “stop&go”) tra un contratto stagionale e uno successivo iv) NON esistono limiti di durata massima alla successione di più contratti stagionali, perché la stagionalità è tipica attività a termine, e su questo credo concordi pure il prof. Tridico.

Ma una differenza esiste tra le due fonti, e torniamo così alla Circolare Inps che a dire il vero non fa altro che ricordare a tutti un fatto notorio. Nel primo caso (DPR) il contributo addizionale (1,4%) non si applica e, quindi, non si applica neppure il suo incremento (0,5%) ad ogni rinnovo. Nel secondo caso (contratto collettivo), sì.

Differenza giusta? Sbagliata? Da correggere? Come?

Io credo sia una differenza giusta e logica. Perché sulle casse dello Stato (Inps) decide lo Stato e non le parti (private) sociali. Non troverei giusto che un contratto collettivo, anche aziendale, possa decidere - senza limite alcuno - quando per quel settore o quella azienda un contratto di lavoro non sia gravato da un contributo addizionale (giusto o sbagliato che sia, non è questo il tema) e generare di conseguenza un minor introito per le casse dell’Inps.

Giustissimo (è lo spirito del Jobs Act) possa accedere a benefici normativi, ma non a incentivi economici. E non ditemi che per un periodo è stato così, perché quando lo fu – per un triennio, poi basta – lo fu solo per i contratti collettivi nazionali che, all'entrata in vigore della norma, erano già siglati da tempo.

È una differenza da correggere? Io credo di sì. Come? Ecco, come. Il foglio del come, lo chiamava qualcuno.

Con riferimento alla fonte legale, esiste una norma del 2015, sempre del Jobs Act (che noia), che dice che le attività stagionali sono individuate con un Decreto del Ministero del Lavoro e che, fino all'adozione di questo DM, trova applicazione il DPR n. 1525 del 1963. Ora, sono passati poco più di quattro anni (una via di mezzo tra il “poco più di uno” e il “poco meno di sei” citati all'inizio), ma del Decreto non si ha notizia.

Con la conseguenza che “la lavorazione del falasco", quella “del sommacco” e la “spiumatura della tiffa”, tanto per citare alcune attività stagionali previste dal DPR utili ormai solo a scuola durante la lezione di storia, sono esenti dal contributo addizionale, mentre non lo sono le più recenti attività stagionali, ad esempio, del comparto alimentare o le recentissime attività del commercio online. Per queste ultime il primo contratto costa già il 1,4% in più e, ad ogni rinnovo, va aggiunto lo 0,5% incrementale in più (dopo quattro stagioni siamo già a +2,9% in più, per intenderci).

Il che, unito al diritto di precedenza del lavoratore stagionale alla riassunzione per la stagione successiva, rappresenta un vero paradosso.

Ah, il foglio del come. Eccolo, trovato: il Ministro del Lavoro convochi quanto prima la parti sociali - è giusto non possano decidere da sole quali siano le attività stagionali che incidono sulle casse dello Stato - e scriva assieme a loro (si ok non proprio “assieme” ma ci siamo capiti) il Decreto Ministeriale con le attività stagionali del terzo millennio.

E già che ci siamo adegui e aggiorni, il Ministro, l’elenco delle attività a carattere discontinuo valide per il lavoro intermittente. È sempre un Decreto del suo Ministero a dover intervenire, e non è ancora intervenuto. Nell'attesa applichiamo il Regio Decreto n. 2657 del 1923.

Insomma, per le attività stagionali almeno avevamo già il Presidente della Repubblica, per quelle discontinue/intermittenti c’era ancora il Re.

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