Come ogni anno italico che si rispetti, eccoci a parlare di legge di bilancio. Una volta si chiamava legge finanziaria, cambiano le parole ma non cambia certo il senso e la logica.
Si inizia a settembre, dopo aver passato oltre metà dell’anno a parlar da commissari tecnici della Nazionale di calcio, dopo aver speso più di quanto entrava in cascina e dovendo chiedere così altri denari in prestito e dopo la pausa agostana sotto l’ombrellone col cervello messo in stand-by (quando va bene).
Tocca allora rifare i conti, che si devono aggiustare perché non li abbiamo rispettati. Due mesi di annunci e parole al vento sui giornali e in TV, poi il Governo approva il disegno di legge che va in Parlamento e in Europa e poi parte l’attacco alla diligenza.
Anno 2019, va come minimo fatto il bilancio del prossimo anno. Van trovati i miliardi che mancano, che non ne avanzano mai. Un po’ di deficit in più, quello che l’Europa ci concede, microtasse qua e là, sugar e plastic tax ma pure su cartine e filtri per farsi le sigarette. E, da ultimo, la trovata geniale da mezzo miliardo, di prodiana memoria, di aumentare le tasse ai lavoratori dipendenti che hanno un’auto aziendale in fringe benefit.
Del resto, il dipendente le tasse non può far altro che pagarle, visto che gli sono ritenute alla fonte subito e manco le vede, mentre l’autonomo può anche non pagarle. I lavoratori autonomi sono tutti evasori? Certo che no. Però gli evasori sono tutti lavoratori autonomi, anche solo per il fatto che i dipendenti, pur se volessero, non possono evadere le proprie tasse. Mentre possono aiutare gli autonomi, avendone anche loro un vantaggio, a evadere le proprie. Questo sì. Non è una questione di Santi e criminali, ma di possibilità di ricavarne un vantaggio. Oltre che, va da sé, di cultura.
Le banche dati informatiche incrociate sono un’ottima soluzione, da migliorare e implementare. La fatturazione elettronica deve essere estesa, non si capisce perché no, anche ai forfettari con la loro bella flat tax al 15%. Tracciare tutto e non permettere di fatturare alla bisogna, sono due tasselli su cui insistere.
E il contante? Lo so, mi darete del liberticida, non importa. Il contante va combattuto, va evitato, va ridotto. Vanno favoriti i pagamenti elettronici tracciati. Carte di credito, di debito, Satispay vari ed eventuali, bonifici bancari. Non credo agli scontrini con le lotterie e al cash back della Befana, che pare un’idea di Pippo Baudo ai tempi di Fantastico e della Lotteria Italia.
Mi è rimasto impresso, da sempre, un racconto di un amico. Mi raccontava di sua mamma quando lavorava in una scuola privata nella ricca Brianza. No, non era un’insegnante, lavorava in contabilità e incassava le rette, rilasciando regolare ricevuta quietanzata. La scuola non evadeva nulla. Gli alunni erano in gran parte figli di lavoratori autonomi e di piccoli imprenditori. E i pagamenti delle rette avvenivano in gran parte in contanti. Quei contanti ricevuti per le prestazioni professionali dei genitori (spesso) non fatturate, ignote al fisco.
Contanti incassati, evasi, ma poi regolarmente spesi per la scuola dei figli (o per fare la spesa al supermercato o pagare la cena del sabato sera al ristorante).
Il nero, soldi che entrano, nessuno lo sa e li traccia, e soldi che escono. Ecco, e se mettessimo un limite alla loro uscita? Se, una volta entrati, li rendessimo quasi carta straccia perché non più né spendibili né depositabili in banca? Se mettessimo cioè un serio tetto all’uso del contante, ad esempio a 200 euro (io farei pure 100 euro ma con la banconota da 200 è un problema)? Io credo potremmo avere una riduzione dell’evasione, perché il nero diverrebbe inutile. Si potrebbe così evitare di far pagare di più a chi, da sempre, le tasse le paga anche per il solo fatto che non può che pagarle.