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  • Andrea Morzenti

Appaltando



Quindi anche il decreto legge PNRR2 (oppure 3 o 4, non ricordo mai) è stato convertito in legge. Tra le “disposizioni urgenti in materia di lavoro” hanno trovato grande risalto sulla stampa le novità in merito agli appalti.

Norme approvate in un Consiglio dei Ministri del marzo scorso sull'onda emotiva – come spesso ahimè capita – del crollo, e purtroppo dei morti, del cantiere Esselunga di Firenze.


Le novità riguardano due aspetti. Il primo è quello sanzionatorio, il secondo – su cui mi soffermerò – riguarda invece il trattamento spettante al personale applicato ad appalti e subappalti.


Sul tema sanzionatorio accenno solo al fatto che siamo in presenza di un ritorno al passato. Gli appalti illeciti tornano infatti ad essere puniti con una sanzione penale, dopo la depenalizzazione avvenuta nel 2016. Un appalto è illecito quando il potere organizzativo sul personale della “ditta esterna” è esercitato non dal datore di lavoro (la ditta esterna) ma da chi riceve il servizio o l’opera oggetto dell’appalto. Perché, se è questa l’utilità che una azienda ne vuol ricavare, il servizio corretto è quello di somministrazione di lavoro che solo le agenzie per il lavoro, autorizzate dal ministero del lavoro, possono erogare.

La nuova ondata di penale, un must di questo governo, sarà la strada giusta oppure era meglio rimanere con un pesante apparato sanzionatorio amministrativo incrementando i controlli? Vedremo.


Sul secondo tema, il trattamento spettante al personale, una importante novità è stata introdotta dalla legge di conversione. Ora la norma dice che al personale impiegato nell'appalto e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo (qui dico solo che il contratto collettivo richiamato dalla norma, mi perdonerete la semplificazione, è quello stipulato da CGIL, CISL e UIL) applicato nel settore (ometto il riferimento che la norma fa alla “zona” che nessuno l’ha capito) “connesso con l’attività oggetto dell’appalto”.

Quindi:

  • non il contratto collettivo che più aggrada e confà alla “ditta esterna”;

  • ma quello correlato all'oggetto dell’appalto;

  • sottoscritto da sindacati e datori di lavoro riconosciuti come rappresentativi.


La norma non dice che la “ditta esterna” deve applicare quel contratto collettivo. Ma che al suo personale, durante l’esecuzione dell’appalto e del subappalto, spetta il trattamento economico e normativo di quel contratto collettivo:

  1. Economico; cioè naturalmente la retribuzione e i relativi scatti di anzianità, maggiorazioni per straordinari e ore maggiorate, aumenti da rinnovi contrattuali e passaggi di livello;

  2. (ma anche) Normativo; cioè limiti al lavoro supplementare e al lavoro straordinario, periodo di prova, preavviso, comporto, maternità, malattia e infortunio, monte ore permessi, bilateralità, diritto soggettivo alla formazione, salute e sicurezza, previdenza e sanità integrativa, …


Non certo una cosa da poco.

Insomma “il costo del lavoro non potrà più essere un elemento su cui basare la concorrenza tra le imprese che puntano ad aggiudicarsi gli appalti” (Eufranio Massi, IPSOA).


È importante precisare che la norma non si riferisce (necessariamente, vedremo meglio dopo) al trattamento economico e normativo applicato dalla azienda che appalta (il “committente”), come invece vuole la somministrazione di lavoro (lì il committente è chiamato “utilizzatore”). Il centro, il punto di riferimento, qui è l’oggetto dell’appalto.

Se l’attività appaltata (l’oggetto del contratto di appalto) è una opera edile, il trattamento economico e normativo dovrà essere quello degli edili, indipendentemente dal contratto collettivo del committente. Se l’oggetto dell’appalto è la gestione di un magazzino, il trattamento sarà quello del contratto collettivo della logistica, tanto in una azienda metalmeccanica quanto in una della GDO. E lo stesso ragionamento vale per le mense aziendali o altri servizi o opere che non sono l’attività core del committente.


Se però l’oggetto dell’appalto è il famoso fine linea, ad esempio la sbavatura delle chiavi inglesi di una azienda metalmeccanica, ecco che il trattamento economico e normativo del contratto collettivo del committente dovrà essere garantito al personale della “ditta esterna” in quanto, in questo caso, coincidente con quello connesso con l’attività oggetto dell’appalto. Se poi la stessa “ditta esterna” ha anche un appalto in un fine linea di una azienda che produce pneumatici, il trattamento spettante al suo personale applicato a quello specifico appalto dovrà essere quello della gomma plastica.


Le aziende appaltatrici (quelle che fin qui ho chiamato “ditte esterne”), in altre parole, potranno quindi continuare ad applicare lo stesso contratto collettivo che applicavano sino a ieri, dovendo però garantire al proprio personale il trattamento economico e normativo corretto, adattandolo di volta in volta all'oggetto dei singoli appalti.

E della correttezza di tutto ciò, in virtù della responsabilità solidale che permea l’istituto dell’appalto, sarà chiamato a risponderne anche il committente.


In una riga si può quindi dire he col governo Meloni si registra un passaggio da oggetto sociale a oggetto d’appalto (questa mi è venuta in mente mentre scrivevo, dovrei forse esploderla in un altro post).

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