L’annuncio della cosiddetta “Superlega” ha già raggiunto un primo, eclatante, risultato: in home page dei principali quotidiani on line è la prima notizia, spodestando dopo mesi le statistiche sul numero di contagi e le anticipazioni sui prossimi colori delle regioni.
Poiché il dibattito tra “evoluzione spettacolare” e “abominio da azzerare” (al momento, netta prevalenza del secondo partito) è destinato a infiammare social, trasmissioni e discussioni da bar sport (all’aperto, con mascherina e rispetto del distanziamento), accolgo l’invito dell’amico Andrea Morzenti ad intervenire sul tema provando ad astrarsi dal derby di opinioni e ragionare in prospettiva e a livello di macro sistema, per poi chiudere (per il momento) con due piccole annotazioni, una geografica e una burocratica (ma non per questo secondaria) che aprono ulteriori interrogativi.
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L’antefatto è ben noto: 12 grandi società di calcio in Italia, Spagna e Inghilterra hanno dichiarato la loro volontà di fondare un campionato a parte, di cui esse farebbero parte vita natural durante, con la possibilità di invitare altri club con tempi e modalità da definire.
La “ratio” sembra essere chiara: grandi squadre, grandi partite, grande audience televisiva (il panel dei tifosi di queste squadre è stimato in circa un miliardo di utenti sparpagliati per il mondo, con grande appeal sui mercati arabi e dell’estremo oriente). Basta con le sfide in cui queste grandi devono rischiare di perdere in casa contro il Benevento (ogni riferimento al principale motore del progetto è ovviamente voluto), da domani solo sfide stellari con i migliori giocatori in campo.
Altrettanto facile immaginare le reazioni negative, che puntano il dito su elitarismo e mancanza di meritocrazia e che vedono il progetto come una riproposizione moderna in chiave sportiva del feudalesimo o delle caste indiane.
La riflessione di ampio respiro, che andrebbe fatta prima di schierarsi pro o contro su base emotiva, non può però che prendere le mosse da una semplicissima analisi dello status quo: praticamente tutti i club dei principali campionati hanno bilanci economici in rosso e spesso sopravvivono grazie all’applicazione del meccanismo delle plusvalenze: efficace in termini contabili, ma obbrobrioso dal punto di vista non solo etico bensì anche logico e giuridico. In pratica una catena di Sant’Antonio reiterata nel tempo con il consenso e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. E quindi non occorre essere fini economisti per capire che se un sistema è interamente e strutturalmente in perdita, quel sistema non sta in piedi.
Prima di dire si o no alla Superlega, è necessario – sarebbe necessario – che gli attori si interrogassero seriamente e valutando l’interesse comune del sistema su quali possano essere le riforme strutturali per invertire la tendenza di questo suicidio economico. Al momento la risposta delle società che hanno lanciato il progetto Superlega sembra essere solo un altro escamotage per scendere da un Titanic che sta affondando salendo su un transatlantico scintillante e ancora da varare. Del quale però nessuno ha ancora valutato la solidità dello scafo, la rotta da seguire e se qualcuno sia disponibile a rifornirlo di carburante.
Note finali: possibile che una Superlega Europea parta senza il Paris Saint Germain, catalizzatore dei più grandi fuoriclasse nell’ultimo triennio e senza il Bayern Munchen, campione uscente di Champions League e società dal palmares tanto brillante quanto costante nel tempo? Non è che siccome la prima ha risorse finanziarie quasi illimitate vista la proprietà qatariota e il secondo è un modello mondiale di gestione di altissimo livello ma con attenzione ai costi, si confermi il sospetto che i club promotori della Superlega stiano semplicemente cercando un modo per giocare in un altro campionato lasciandosi indietro i debiti e ripartendo da zero?
E dulcis in fundo, se è vero che sono i grandi calciatori a creare il grande spettacolo, questo ha comunque bisogno di una presenza che si chiama “arbitro”: poiché tutti gli arbitri sono inquadrati all’interno delle federazioni e il progetto di Superlega è ovviamente da queste sconfessato e scomunicato, quale categoria dovrebbe arbitrare le affascinanti sfide di Superlega?
A meno che non ci sia l’idea tale per cui una squadra porta anche gli arbitri, ma a questo punto la battuta greve sul come mai alla guida del progetto ci sia Agnelli con la Juventus è talmente scontata da non poter nemmeno essere proposta.
Oppss… l’ho appena fatto?
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