
Un collega ci ricorda spesso, nelle nostre chiacchierate sul mercato del lavoro, che ognuno di noi ha certamente un amico barista disposto ad assumerci alla bisogna.
Se il lavoro che fai non ti piace più e ti dimetti (a maggior ragione ora che, col collegato lavoro, se ti assenterai ingiustificatamente per 15 giorni è come se ti fossi dimesso) non hai diritto alla NASpI (la vecchia indennità di disoccupazione). Allora chiedi all’amico barista di assumerti a termine, oppure a tempo indeterminato e poi ti fai licenziare, e voilà la NASpI ti spetta.
Domenica scorsa i giornaloni titolavano: manovra, il governo estende la NASpI anche a chi si dimette.
“Ma come è possibile?” mi son chiesto. Ed infatti, come capita spesso, i giornaloni si sbagliavano.
Il testo dell’emendamento presentato dal governo, e in discussione in commissione bilancio della Camera, non brilla certo per chiarezza (eufemismo). Ma parrebbe dire l’esatto contrario, togliendo – di fatto – l’importante e fondamentale ruolo che il mio collega assegna al di noi tutti amico barista.
Dice l’emendamento che se ti dimetti da (o risolvi consensualmente) un contratto a tempo indeterminato e cambi lavoro, e poi il nuovo lavoro lo perdi involontariamente per cessazione (fine contratto a termine o licenziamento), la NASpI ti spetta solo se hai maturato almeno 13 settimane di contribuzione dal tuo amico barista (o da altri baristi). Requisito, questo delle 13 settimane, che si applica - copio/incollo dal testo dell’emendamento - “a condizione che l’evento di dimissioni sia avvenuto nei dodici mesi precedenti l’evento di cessazione involontaria per cui si richiede la prestazione”, cioè la NASpI.
In uno con (mi è sempre piaciuto) la norma sulla “assenza vale dimissioni” del Collegato Lavoro, si preannunciano tempi duri per i furbetti della NASpI?
Questo post sarebbe dovuto finire qui.
Ho fatto però due parole con un amico avvocato. E ci siamo chiesti, uscendo dalla patologia del comune amico barista, cosa potrebbe accadere con questa nuova norma ai passaggi “genuini” dei lavoratori da un datore di lavoro ad un altro. Ad esempio, a chi si dimette per un’offerta di lavoro migliore e poi – può capitare - non supera il periodo di prova. Resta con in mano un nulla di fatto? Né lavoro, né NASpI?
Non è che allora per combattere i furbetti della NASpI si rischia di penalizzare tutti gli altri? È che, forse ancor peggio, si rischia di limitare fortemente il necessario dinamismo del mercato del lavoro?
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