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  • Andrea Morzenti

In mutande, per sempre


Corrado Clini, Ministro dell’ambiente nel governo Monti, diceva che bisogna cambiarsi le mutande ogni quattro giorni, per risparmiare l’acqua del lavaggio in lavatrice. Era il 2012, una Greta Thunberg ante litteram.

Chissà se è dello stesso avviso il vigile di Sanremo che timbrava in mutande, assolto nei giorni scorsi dall'accusa di truffa perché il fatto non costituisce reato. Ci sono voluti quasi cinque anni, al Tribunale di Imperia, per giungere a questa sentenza di primo grado con rito abbreviato; mentre, per chi ha scelto il rito ordinario, il processo inizierà il 6 giugno. La prescrizione scatterà a marzo 2022.

 

Credo che, al di là della valutazione giuridica, timbrare in mutande non s’abbia da fare, neppure se vicino alla spiaggia del mare di Sanremo. Ma tant'è. Se il reato c’è, o non c’è, lo decide un Giudice. Non certo il Pubblico Ministero, la Guardia di Finanza, la stampa, la televisione o la pubblica opinione.

Facciamo però finta, per un attimo, che il fatto sia stato commesso non cinque anni fa (correva l’anno 2015) ma cinque giorni fa, cioè a gennaio 2020. E che la sentenza di primo grado arrivi a gennaio 2025 (dopo cinque anni, tanti ce ne sono voluti). Sempre di assoluzione perché il fatto non sussiste. Sempre il reato non è ancora prescritto.

Cosa cambia? Cambia che, per i fatti compiuti (reati contestati) dal 1 gennaio 2020, si applicano le nuove norme sulla prescrizione, volute dal governo gialloverde e tenute in vita dal governo giallorosè, che prevedono che i termini di prescrizione non decorrono più dal momento della pronuncia della sentenza di primo grado, sia di condanna che di assoluzione.

Ecco allora che, facciamo sempre finta, la Procura nei termini di legge propone appello contro la sentenza di primo grado. È convinto, il Pubblico Ministero, che il reato sussista. Il reato, con le vecchie regole, si sarebbe prescritto da lì a poco (del resto se per fare un primo grado ci vogliono cinque anni…), ma con le nuove regole non si prescrive più.

In appello il vigile timbratore in mutande viene ancora assolto, dopo anni e costi per tutti che qui non vi sto a dire.

Ma l’iter prosegue in Cassazione, che cassa l’appello, che rimanda ad un’altra Corte, che condanna il vigile, che va in Cassazione, che cassa l’appello, che rimanda ad un’altra Corte, che condanna di nuovo il vigile, che va in Cassazione, che al mercato mio padre comprò.

Alla fine di tutto, passati quanti anni fate voi, la Cassazione conferma la condanna.

Nel frattempo, il vigile è stato reintegrato sul posto di lavoro dal Comune di Sanremo dove lavorava, da allora ha timbrato sempre coi pantaloni d’ordinanza, è diventato capo dei vigili per merito, è andato in pensione, è diventato un nonno premuroso e porta le mutande, lunghe, di lana.

Ma ora è un condannato in via definitiva, per (de)merito delle norme sulla prescrizione, insulse e contrarie ai principi di civiltà (non solo) giuridica, volute dai Cinquestelle e non contrastate né dalla Lega prima né dal Partito Democratico poi.

Alcuni giurano di aver visto, molti anni fa, il vigile protagonista di questa storia a una manifestazione a Genova del Movimento Cinque Stelle. C’erano Grillo e Casaleggio e tutti gridavano, vigile compreso: honestà, honestà, spazza corrotti, spazziamo i corrotti!

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