top of page
  • Andrea Morzenti

Contagio da smartworking


Nell’attesa e nella speranza che l’erre con zero (Ro) del coronavirus da circa 2,5 attuale scenda sotto l’1, e cioè che il contagio regredisca così che la malattia si arresti da sola (diventi cioè un fuoco di paglia, un scoppio a vuoto, parole di Paolo Giordano in un bell'articolo sul Corriere “Coronavirus, la matematica del contagio che ci aiuta a ragionare in mezzo al caos”), nell'Italia del Nord è scoppiato il contagio da smartworking (o, all'italiana, lavoro agile). Bene, anzi benissimo.

 

Non è lavoro autonomo. Non è un contratto di lavoro. Lo smartworking è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa. Tutto questo entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, in accordo tra datore di lavoro (nella somministrazione di lavoro leggasi utilizzatore) e lavoratore.

Sembra tutto facile, semplice. Direi, agile. Ma a complicare (un po’) tutto sono formalismi e bizantinismi tipici italici. Il primo attiene all'accordo individuale e alla sua comunicazione agli Enti, il secondo alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. E su questi due temi è intervenuto il Governo per facilitare lo smartworking in epoca di coronavirus, così da favorire il contagio del primo, bloccando - nel contempo - quello del secondo.

Dopo un primo DPCM un po’ sballato (mi perdoneranno gli estensori ma la locuzione “applicazione in via automatica” e la non chiara individuazione del perimetro ne avrebbero ridotto la portata), un secondo DPCM ha previsto che per le Regioni coinvolte (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria) sia con riferimento a sede legale o operativa del datore di lavoro quanto a residenza o domicilio del lavoratore, lo smartworking è applicabile, in via provvisoria fino al 15 marzo 2020, anche in assenza dell’accordo individuale. Via il primo formalismo, ottimo.

È previsto poi, continua l’art. 2 del DPCM del 25 febbraio 2020, che gli obblighi di informativa (salute e sicurezza) sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'INAIL. Basta quindi una email allegando la, o meglio linkando alla, documentazione dell’Istituto. Via il secondo formalismo, ottimo due.

Sì lo so, sento già le critiche, che non basta questo per il rispetto della normativa sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro, ma visto il periodo già complesso farò finta di non sentire. No panico, no polemica.

Resterebbe la comunicazione agli Enti, che il DPCM non sospende. Vero che, interpretazione letterale dell’art. 23, comma 1, della L. 81/2017, è l’accordo a essere oggetto di comunicazione. E se l’accordo non c’è, perché non previsto, la comunicazione sarebbe priva di oggetto e, quindi, implicitamente abrogata.

Ma il Ministero del Lavoro ha seguito una strada diversa, dicendo che la comunicazione deve comunque essere effettuata allegando, invece dell’accordo, una autocertificazione datoriale da cui si evinca il possesso dei requisiti del DPCM. Credo la decisione sia dipesa per avere una data certa e per garantire quindi agli smartworkers la copertura INAIL, nonché per una (auspicata) attività di monitoraggio.

Chissà se il coronavirus ci lascerà in eredità, per sempre e non solo in via provvisoria, questo smartworking facilitato. Io lo spero.

È una modalità agile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato utile a tutti:

  1. al datore di lavoro (dai mettiamolo per una volta per primo, senza ipocrisie) - per una gestione degli spazi più semplice e meno onerosa, nonché per una migliore produttività;

  2. al lavoratore - per una migliore gestione dei tempi di lavoro, dei tempi di spostamento casa lavoro, del tempo libero, degli impegni personali, familiari e, ahimè sempre più ridotti, sociali;

  3. alla comunità tutta - per l’ambiente e i consumi innanzitutto.

Vantaggi che devono collimare e trovare la sintesi tra tutte le parti coinvolte, a partire dal lavorare meglio e per obiettivi. E, basilare, con la fiducia reciproca da mantenere, altrimenti salta tutto l’impianto.

Ah, un consiglio: se in ufficio entra un collega che cerca Andrea, non dite maioggi non c’è, è in smartworking”, ma dite sempresì certo c’è, lo trovi in smartworking”.

__________________

* post chiuso domenica 1 marzo ore 1800. In queste ore circolano le bozze del nuovo DPCM pronto per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Prevede lo "smartworking facilitato", sopra descritto, fruibile da datori e lavoratori di tutto il territorio nazionale fino al 31 luglio 2020 (per tutti i 6 mesi di emergenza, in conseguenza del rischio sanitario da coronavirus, previsti dalla Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020). Ottimo.

0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page