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  • Andrea Morzenti

(ultima) Chiamata alla responsabilità


È stato un susseguirsi di decreti. Prima la zona rossa, con il resto d’Italia verde. Poi rossa, gialla e verde. Poi rossa e gialla (che dapprima ne ha preso solo un po’ e poi si è mangiata tutta la verde). E ora rossa (c’è ancora?), arancione (o è tutta rossa più ampia?) e gialla; di verde non se ne parla più. E tutto nel giro di quindici giorni, un’escalation velocissima.

Con l’unico risultato positivo, poco consolatorio certo mi rendo conto, che ora tutti sappiamo cosa sia un dpcm.

 

Il dpcm di ieri, 8 marzo 2020, utilizza termini quali: evitare, salvo che, è fortemente raccomandato, si raccomanda di promuovere, è condizionata, preferibilmente, qualora sia possibile.

Divieti e obblighi certo ve ne sono, ma molto mirati (scuole, cinema, teatri, bar e ristoranti dopo le 1800, …) in luoghi dove certo il rispetto delle norme igienico-sanitarie per evitare il contagio è pressoché impossibile.

Io ci leggo quindi una sorta di chiamata alla responsabilità individuale e collettiva. Di tutti noi. Quasi come se il Governo ci implorasse di seguire le indicazioni della scienza, messe nero su bianco nel suo dpcm. Ce lo sta chiedendo con le buone, se non le seguiremo temo che col prossimo dpcm ce lo chiederà con le cattive.

Ad esempio, il decreto non vieta gli spostamenti (per entrare, uscire e all’interno della zona arancione) per lavoro. Dice che gli spostamenti devono essere evitati salvo che siano “motivati da comprovate esigenze lavorative” (oltre che per situazioni di necessità o di salute). Non dice però che si può spostare chi ha un lavoro, ma che si può spostare chi per lavorare deve spostarsi. Questa esigenza, a mio parere, la deve dichiarare al lavoratore il suo datore di lavoro, tenuto a limitare gli spostamenti per tutelare la salute del lavoratore.

Quindi, direi: puoi lavorare in smartworking (facilitato dal decreto)? Sì, allora stai a casa a lavorare e non ti dichiaro nulla. Non lo puoi fare? Allora prima di dichiarare che devi venire al lavoro devo capire se sono in grado (io datore di lavoro) di rispettare le varie misure igienico-sanitarie previste dal decreto (in particolare, ma non solo, la distanza interpersonale di almeno un metro). Se sì, ti rilascio la dichiarazione; se no, non ti dichiaro nulla e stai a casa in ferie/permessi (agevolate del decreto).

Per questo ho trovato fuori luogo e financo un po’ egoistica la dichiarazione di un imprenditore veneto che su Facebook ha scritto un qualcosa tipo: domani tutti al lavoro, il contratto di assunzione vale come motivo di transito nel territorio. Anche agli imprenditori, anche alle imprese, come a tutti noi è richiesta una assunzione di responsabilità. Queste norme, questa situazione, ahimè ci consegneranno una contrazione del PIL. Ma il loro mancato rispetto, oltre a conseguenze sanitarie, potrebbe consegnarci una contrazione del PIL ancora più accentuata.

E per carità di patria, qui non voglio entrare sui devastanti errori comunicativi del nostro Governo e sulla folle diffusione (da parte del Governo o delle Regioni non so, non certo da parte della stampa che se ha una notizia da una fonte ufficiale ha il dovere di diffonderla), il sabato sera, delle bozze del dpcm. Un bel tacer non fu mai scritto.

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