Ieri sera ho ascoltato Luigi Di Maio dire, in TV a reti unificate, che “uno non vale l’altro”, esattamente il contrario dello slogan grillino - e caposaldo dei cinquestellle - “uno vale uno”.
Ma Di Maio ha anche detto che è contro il populismo e il sovranismo, dopo aver dato origine al governo di Giuseppe Conte, di cui con Matteo Salvini ne è stato vicepremier, che ha abolito la povertà dal terrazzo.
Ha detto anche che la scelta europeista e atlantista deve essere netta e senza fraintendimenti, dopo aver provato a mandare Paolo Savona al Ministero dell’Economia e dopo aver portato la sua solidarietà ai gilet gialli. Ha lodato Sergio Mattarella, dopo averne chiesto l’impeachment. E citato David Sassoli, dopo aver detto “mai col partito di Bibbiano”. Sull’invasione della Russia in Ucraina e su Putin ha usato parole forti a sostegno del popolo ucraino, dopo aver consentito ai russi di mandare l’esercito in Italia durante la pandemia.
Ha usato parole nette a favore della scienza, della ricerca e dei vaccini, quando nel suo (ormai) ex movimento c’è chi sostiene l’agricoltura biodinamica (quella del letame dentro un corno di una vacca che ha partorito almeno una volta, lasciato fermentare in inverno e recuperato a Pasqua), dice che l’allunaggio non c’è mai stato, la Terra è piatta, i vaccini causano l’autismo.
E, da ultimo, ha riconosciuto gli enormi meriti di Mario Draghi con cui, ha ripetuto più volte, spesso ha lavorato insieme al governo, fianco a fianco su dossier difficili, dopo aver detto nel luglio 2020 “mi ha fatto un’ottima impressione”.
È mancata solo l’abiura del decreto dignità e del reddito di cittadinanza e poi la capriola sarebbe stata davvero completa.
Ora, le opzioni sono due: o Di Maio è un bravissimo attore e un opportunista di primissimo livello, oppure le frequentazioni di questi ultimi anni (la Farnesina, Mattarella, Draghi) l’hanno portato a capire e cambiare. Voglio sperare la seconda, anche se la prima resta fortemente in campo.
Me la sono provata a spiegare così. Di Maio è stato individuato anni fa da Grillo e Casaleggio come la faccia bella, pulita, candida e giovane del Movimento. I due hanno capito che faceva al caso loro. Di politica sapeva poco o nulla, ma era capace e imparava in fretta. Hanno investito su di lui, abiti belli, formazione, postura, pronuncia (e c’è chi dice pure gli hanno trovato una compagna per le foto di rito). Gli han creato e gestito gli account social, gli han scritto discorsi e detto cosa dire, cosa fare, dove andare. Insomma, ne han fatto una loro creatura, la loro voce. Era da loro telecomandato. E a lui andava bene così.
Poi qualcosa deve essere andato storto, qualcosa deve esser loro sfuggita di mano. Il ragazzo è cresciuto, ha cominciato a leggere i libri proibiti e a frequentar gente, in Italia e all’estero, che prima era a lui preclusa. Ha capito che l’uno vale uno è uno slogan assurdo e pericoloso (deve averne avuto la conferma mettendo a confronto da una parte Beppe Grillo/Giuseppe Conte e dall’altra Mario Draghi, dove gli uni – ne ha avuto contezza – non valgono l’altro). Ci ha rimuginato, pensato e riflettuto. Ha ascoltato e chiesto consiglio ai nuovi compagni di strada. E poi ha sbottato, a reti unificate.
Comodo così, han detto alcuni. Abiuri il passato (che non è solo tuo ma è stato protagonista delle decisioni e scelte politiche in Italia degli ultimi anni) e non ne trai alcuna conseguenza? Vero, ma mica poteva dimettersi da Ministro degli Esteri in questo frangente storico, aggiungo io.
Resta un dato, credo inoppugnabile. Attore opportunista o protagonista di un reale cambiamento, il nuovo Di Maio (con i sessanta parlamentari che l’hanno seguito) ha puntellato il governo Draghi in Europa fino a fine Legislatura. E questo è un bene.
Ecco, intanto portiamoci a casa questo risultato, che per il periodo che stiamo vivendo non è cosa da poco. Poi vedremo se i nuovi gruppi parlamentari futuristi diverranno anche un nuovo partito o, più semplicemente, Luigi Di Maio diverrà il nuovo Segretario del Partito Democratico.
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