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Andrea Morzenti

Il merito e l'antipatia



Sentivo Massimo Cacciari pochi giorni fa a pontificare, suo solito, in tivu. Ce l’aveva con gli Stati Generali di Casalino e Conte (il primo è mio) e, col suo solito crescendo del volume della voce, oltre a definire la kermesse contiana “aria fritta” (come dargli torto) lamentava la totale assenza, lì come nel piano Colao, di qualsiasi cenno alle riforme costituzionali.


Quindi, chiede urlando, dato il No al referendum di Renzi, ci dobbiamo tenere il bicameralismo paritario e balle varie (mi pare, potrei sbagliarsi, testuale) per tutta la vita? La Lilli nazionale ribatteva (forse su invito di Cairo) che con tutta la carne al fuoco, con le urgenze a cui pensare (aggiungo io, magari anche risolvere), alle riforme costituzionali non è il caso di pensarci ora, faremo un’altra volta. La risposta di Cacciari, volume di voce ormai al massimo, non la ricordo devono averlo sfumato.

 

Sul fronte lavoro si legge in questi giorni di alcune riflessioni per la ripartenza, che il rilancio ormai è cosa fatta. Ne cito tre:


  • si studia di replicare un sistema di incentivi per favorire la ripresa delle assunzioni tempo indeterminato;

  • l’idea è quella di allungare almeno fino a dicembre il congelamento delle causali previste dal decreto dignità, in quanto, cito dal Sole 24 Ore “nell'attuale quadro di incertezza economica le imprese ricorreranno soprattutto a contratti flessibili, e tra queste tipologie contrattuali sicuramente il contratto a tempo determinato, inclusa la somministrazione, è quello che offre maggiori tutele ai lavoratori” (anche se qui abbiamo un Gualtieri vs Catalfo, e chiissà);

  • secondo Federmeccanica il 34% delle imprese dichiara di dover ridurre il numero degli occupati nei prossimi 6 mesi, solo il 3% dichiara di volerli aumentare.


È opinione diffusa che il perdurare del blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione per sempre non può essere la soluzione. Occorre trovare lavoro a chi lo perde. Un lavoro anche diverso.

Mi raccontava un amico avvocato di una giovane laureata in giurisprudenza in Italia che decide di prendersi un anno sabbatico in Australia. Da lì a poco, dopo alcuni corsi di formazione, mentre lavora in un ristorante ne diventa direttore. Poi arriva il Covid, il ristorante chiude, lei viene licenziata. Ora, dopo pochi mesi di indennità di disoccupazione, lavora come cameriera, sempre in Australia, in un bar (il suo “sponsor” che le permetterà di mantenere il suo permesso di soggiorno per lavoro) che sta riaprendo. Ricollocata, non so se grazie ad una sistema di politiche attive del lavoro, mi piace pensare di sì.


Ecco, i) le riforme costituzionali con il superamento del bicameralismo paritario e un governo, sempre ben inserito in una democrazia parlamentare, più autorevole (che non vuol dire autoritario) ii) un esonero contributivo, semplice e immediato, per chi assume a tempo indeterminato iii) contratti a termine, anche in somministrazione, semplici e con limiti seri e oggettivi iv) un sistema di politiche attive del lavoro vere, rafforzate e di competenza dello Stato e non nelle mani delle Regioni (sulla sanità, per amor di Patria, qui non entro) al posto dell’idea dello Stato assistenzialista (quello che trova la sua massima espressione nel Reddito di cittadinanza).


Credo che qualcuno, opinionisti, editorialisti, politici e balle varie (cit. Cacciari), un mea culpa sull'affossamento delle politiche renziane (il cui autore antipatico certo non va esente da colpe) prima o poi lo debba fare. E anche a voce alta.


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