Ho seguito poco, perché poco mi ha appassionato, la vicenda della piccola Ginevra portata con sé a Bali da Giorgia Meloni durante il recente G20. Le sono piovute addosso critiche, lei si è difesa rispondendo con un post. Per alcuni la polemica l’ha creata ad arte la stessa Meloni. Boh, non so.
Ho leggiucchiato qua e là le motivazioni delle critiche. Due in particolare: i) chissà quanto ci è costato l’aver portato la figlia in un viaggio di quel tipo e ii) come può decidere di far saltare giorni di scuola a sua figlia. La prima, direi rasenta il ridicolo: se con lei fosse andato il suo compagno, qualcuno avrebbe parlato di costi impropri a carico del contribuente? La seconda sconta il pregiudizio di sapere cosa accade dentro le case e nelle famiglie altrui.
Credo però che la reale motivazione delle critiche sia un’altra, che resta sottotraccia, e che provo a riassumere così: Giorgia Meloni è (solo) un genitore e non (anche) una mamma. Il suo essere donna al massimo deve essere esplicitato nella forma, “la” e non “il” Presidente del consiglio. Perché a Bali lei è una donna che deve essere come un uomo ma declinata al femminile. Quindi, come tutti i suoi omologhi, che c’azzecca portarsi la figlia? Che la figlia stia a casa col mammo.
E se, invece, per alcuni aspetti, alcune situazioni, l’essere mamma non è come l’essere papà? Che le differenze esistono ancora? Che Ginevra volesse stare con la mamma? Perché se è giusto che sui documenti di identità dei minori chi lo vuole deve poter vedersi scritto “genitori”, è altrettanto giusto che, sempre chi lo vuole, deve poter vedersi scritto madre e padre, mamma e papà. Senza imporre nulla a nessuno. Né dall'una, né dall'altra parte.
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