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Andrea Morzenti

Caso Di Maio: ritorna Silvio, ma io non ci sto


Nei giorni scorsi Le Iene hanno sentenziato: il papà di Luigi Di Maio ha avuto operai in nero. Uno di loro si è pure infortunato sul lavoro, e il papà di Di Maio gli ha detto di mentire chiedendogli di dire al pronto soccorso che si era fatto male a casa.

Si è poi saputo che l'azienda edile del papà di Di Maio era intestata (amministratore?) alla mamma di Di Maio, dirigente scolastico (preside) di una scuola pubblica, che - per legge - non può avere cariche in una società privata. E che soci al 50% della società del papà di Di Maio intestata però alla mamma di Di Maio sono i due figli: i fratelli Luigi e Rosalba.

Luigi è il Ministro del Lavoro (e dello Sviluppo Economico) del governo gialloverde in carica.

Di solito, nell'Italia televisiva, questi scoop sono de Le Iene o di Striscia la Notizia.

 

Ora, forse dirò un qualcosa di impopolare, ma a me non piacciono nè Le Iene, nè Striscia la Notizia.

E, a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca (cit.), credo che dietro a tutto ciò ci sia la regia di Silvio Berlusconi, che ha deciso di schierare (ancora una volta) Mediaset per colpire uno dei suoi principali avversari politici (Di Maio Ministro e Capo politico del M5S), con l'obiettivo di ricompattare il centrodestra Lega/Forza Italia/Fratelli d'Italia che, coi mitici Responsabili sempre pronti alla bisogna in ogni Legislatura italica che si rispetti, darebbero così vita ad un nuovo governo.

È il tarlo della nostra democrazia, che ci portiamo dietro (e dentro) da decenni. Un uomo politico, proprietario delle più importanti reti televisive private, che utilizza l'informazione per suoi scopi personali e politici, per colpire suoi avversari politici e non solo.

Ieri erano i calzini spaiati del Giudice Raimondo Mesiano e la casa a Montecarlo di Gianfranco Fini, oggi i lavoratori in nero del papà di Luigi di Maio.

Da questa vicenda emerge però di sicuro, o meglio abbiamo la conferma, di un triste e tetro scenario: il modo di gestire i rapporti di lavoro, gli affari e le società, in particolare in una parte della nostra Italia. Con lavoro nero e prestanomi.

Una realtà nota al Ministro di Maio, che il Suo Ministero è chiamato a combattere.

A me non interessa se Di Maio ha lavorato in nero per qualche mese d'estate da suo papà o in una pizzeria di Pomigliano D'Arco. Non è questo il punto. Se l'ha fatto, se ha lavorato non in regola, è perché il sistema purtroppo porta anche a questo. Perché non ci sono controlli, perché il nero è più comodo, perché non ci sono strumenti per pagare i lavoretti estivi.

Io no, non riesco a fargliene una colpa. E non mi piace l'uso strumentale con tempistica calcolata che ne fa Mediaset di Silvio Berlusconi.

Però, Ministro, invece di contrastare le Agenzie per il Lavoro, invece di limitare il contratto a termine con causali impraticabili, perché non combatte il lavoro nero, la gestione dei prestanomi, gli appalti non genuini, le false collaborazioni? Perché non intensifica l'attività ispettiva? Perché non reintroduce i voucher per i piccoli lavoretti?

Lei conosce cosa non funziona nel sistema, forse ne è stato pure una vittima.

Ci faccia vedere cosa davvero sa e cosa davvero vuol fare, fuori dalla propaganda che invece, purtroppo, lei stesso alimenta ogni giorno.

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