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  • Andrea Morzenti

J'ai cherché de changer mon Pays


Matteo Renzi in collegamento da Londra dibatte in francese con Marine Le Pen durante una trasmissione televisiva in onda su France 2. Colpisce favorevolmente l’assenza d(e)i (fastidiosi) applausi alla fine delle frasi e il confronto che sostituisce il monologo cui siamo abituati nella tivù italiana.

I siti web (un po' meno, mi dicono, le tivù italiane) hanno riproposto il passaggio con cui Renzi ha ammutolito Madame Le Pen, ricordandole di aver perso tutte le elezioni a cui si è presentata. Le ha elencate tutte, Renzi, le elezioni perse da Madame Le Pen e ci ha tenuto a dire che certo anche lui ha perso qualche volta le elezioni, come il referendum costituzionale, ma “Madame, Vous avez perdu toujours”.

In quel passaggio Renzi dice anche che "j'ai cherché de changer mon Pays" (ho cercato di cambiare il mio Paese).

Io credo che (purtroppo) non ce l’abbia fatta perché le sue riforme, seppure votate, non sono state spiegate e sostenute dal suo partito (perfetto e centrato il paragone con un governo tecnico, paragone non mio ma di mio fratello) e perché contrastate da chi, al potere per davvero da anni - in primis il Corriere della Sera con il debortoliano editoriale dello "stantio odore di massoneria" e tutta RCS -, vuole con forza che nulla cambi.

 

Un commentatore, Enzo Puro, scrive che “La vera storia di Matteo Renzi deve ancora iniziare, è questo il motivo per cui è ancora sotto il fuoco incrociato, malgrado sia fuori da tutto”. Vedremo se avrà ragione lui o, invece, chi dice che l’avventura politica di Matteo Renzi è ormai finita. Bene, io 2 cents li punto sulla prima opzione.

Sentendo Renzi e il suo tentativo di cambiare l’Italia, mi è venuto in mente che a marzo 2019 sono passati quattro anni dalla introduzione del contratto a tutele crescenti (applicabile agli assunti dal 7 marzo 2015), ora esautorato dal decreto cosiddetto dignità (che ha innalzato l’asticella del indennità minima e massima) e, soprattutto, della sentenza della Corte Costituzionale (che ha dichiarato incostituzionale l’automatismo, per determinare l’importo della indennità, basato unicamente sulla anzianità lavorativa).

E mi sono tornati alla mente quanti dicevano, scrivevano e pontificavano che il “combinato disposto del Jobs Act del 2015” dato da i) esonero contributivo (max 8.060 euro annui per 3 anni) e ii) indennità per licenziamento illegittimo (6 mensilità per 3 anni di assunzione) avrebbe generato assunzioni a tempo indeterminato e, dopo tre anni, i licenziamenti. Così che le aziende avrebbero assunto solo per poi licenziare liberamente dopo tre anni (guadagnandoci pure, dicevano alcuni, mai capito come).

Ora, tutti gli assunti a tempo indeterminato nel 2015, da marzo in poi, sono stati tutti licenziati nel 2018? E le aziende che non hanno ancora licenziato, ora sono inguaiate vista la sentenza della Consulta del 8 novembre 2018? Oppure, più semplicemente, chi ha assunto l’ha fatto per assumere e non per licenziare poi?

I dati INPS (Rapporto sul precariato, mai capito perché si chiama così) dicono che le assunzioni a tempo indeterminato del 2015 sono aumentate infinitamente di più di quanto sono aumentate le cessazioni del 2018. Mi vien da dire, com’era ovvio che fosse.

Perché le aziende italiane non assumono per poi licenziare; perché ogni assunzione è un investimento anche solo in termini di formazione e un lavoratore non lo si licenzia quand’è produttivo solo per il “combinato disposto del Jobc Act 2015”, che poi un’altra assunzione deve comunque essere fatta. Chissà che fine han fatto i pontificatori dell'epoca...

Ma, in tutto ciò, con il totem dell’articolo 18, con riforme votate ma non sostenute e spiegate dal suo partito, cassate da Consulta e referendum, chi ha cercato di cambiare il Paese ora parla da Londra, in francese, in una trasmissione su France 2. Mentre al governo abbiamo Di Maio e Salvini che hanno i loro problemi con il francese, con Zingaretti a guidare il PD che da Partito Democratico è tornato a essere la Ditta.

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