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  • Andrea Morzenti

Non sono solo storie


Mentre la Regione Lombardia dice di averle azzeccate tutte, di non aver sbagliato nulla, si viene a sapere che in numerose case di riposo lombarde (oggi si chiamano RSA, Residenze Sanitarie Assistenziali) qualcosa non ha esattamente funzionato. Lì, tantissimi anziani, la nostra storia, sono morti di COVID-19.


La Giunta della Regione Lombardia, con Deliberazione n. XI/2906 del 8 marzo 2020, chiede alle RSA di mettere a disposizione posti letto “da dedicare all'assistenza a bassa intensità di pazienti COVID positivi”. Non tutte le RSA, ma solo quelle – individuate dalle ATS (Agenzie di Tutela della Salute) – in possesso di “strutture autonome dal punto di vista strutturale” con l’obiettivo di “liberare rapidamente posti letto di Terapia Intensiva e Sub Intensiva in regime di ricovero ordinario degli ospedali”.


Ma come puoi, Santo cielo, anche solo pensare di far entrare pazienti COVID positivi in una casa di riposo dove vivono persone che per età e per altre patologie in corso sono le più vulnerabili?

Avrai mica pensato che gli anziani siano sacrificabili perché vecchi e che quindi si poteva rischiare?

Il Presidente della Ragione Lombardia, Attilio Fontana, si è subito difeso: non è responsabilità mia né della mia Giunta, noi abbiamo seguito i consigli dei nostri esperti. E, se qualcosa non ha funzionato, la responsabilità è delle ATS.

Ma stiamo scherzando, dico io? La responsabilità è tutta politica, altro che le avete azzeccate tutte. Ma no, la causa della diffusione del virus, ci dice l’Assessore Giulio Gallera, sono i bambini nei cortili di casa.

 

Nel mentre, pare che per l’Italia tutta il problema non siano le scelte scellerate di chi ci governa, ma chi non rispetta il mantra del #IoRestoACasa (da giorni me lo ricorda pure Vodafone sul mio smartphone).

Anche se, a lungo andare, ci sono i primi cedimenti al buon senso. E molti, come me, preferiscono #IoMiDistanzio.

Mi scrive un’amica: “sono al parco, 300 metri da casa, come è bello il parco ed è sempre stato qui; ci rimango a farmi due chiacchiere, lontana da tutti, con gli uccellini. In casa da sola non vorrei mi venga l’impulso di ammazzarmi (tranquillo, non lo farei mai). Ma mi sono tolta quel tarlo, e sono uscita. Ne va della mia salute, mi dicano qualcosa!”. Un’altra amica: “non ne posso più di questa prigionia, voglio andare a trovare mio papà che vive a 40 chilometri da casa, non lo vedo da troppo tempo: cosa rischio davvero dal punto di vista legale?”.

Ma ci sono anche le varie Barbara D’Urso nelle TV dentro le nostre case.

Un amico, giorni fa, mi racconta di aver preso un libro e di essersi seduto a leggerlo sulla panchina sotto casa. Non c’era anima viva intorno a lui. Un suo condomino ha chiamato immediatamente i vigili (ora si chiama Polizia Locale) che, dopo l’identificazione del mio amico e la ricostruzione dei fatti, gli hanno detto che lì non ci può stare. Non l’hanno multato, ma l’hanno invitato a tornare immediatamente in casa.


Altri invece, si legge, sono stati multati: un uomo che ha attraversato in auto alcuni quartieri di Roma perché, per motivi di salute, deve comprare beni alimentari che trova solo in un particolare negozio; un signore anziano a Biella che, nella busta della spesa, aveva solo una bottiglia di vino; nei pressi di Firenze, una famiglia che porta la figlia a fare una visita medica impegnativa, con la mamma che non se la sente di guidare ma senza di lei la figlia non vuole fare la visita, allora guida il papà, e in macchina con loro c'è anche il fratellino della piccola; il rider che non aveva il giustificativo della “comprovata esigenza lavorativa” perché l’app, per privacy, cancella la cronologia delle consegne; Costantino, sorpreso dalla polizia a bordo di un bus che sta percorrendo via Cassia a Roma con una cassa di birre al seguito.

Poveri cristi, nel senso più bello dell’espressione. Che dovrebbero essere aiutati, non multati.

Ultima, ma non ultima, la storia di un papà. Un runner molto amatoriale, sì dai un jogger (anche se ora, tutto gasato, mi ha detto di aver passato il “test del moribondo” o qualcosa del genere, boh), che corre nei campi dietro casa. Quel giorno è uscito coi suoi tre figli. Ed ecco che incontra l’auto dei Carabinieri. Anzi prima di lui l’hanno incontrata i suoi tre figli, un centinaio di metri davanti a lui:


PAPÀ. Buongiorno.

CARABINIERI. Buongiorno.

P. Sono il papà di quei tre “disgraziati” là avanti, che ho visto avete appena incontrato.

C. Bene. Ci han detto abitate qui vicino.

P. Sì, sì. Quelle prime case lì, a pochi metri da qui.

C. Lei sta facendo attività motoria?

P. Eh sì, ci provo.

C. Ok. Abbiamo detto ai suoi figli di non stare troppo assembrati. Un po’ assurdo, va da sé, visto che abitate nella stessa casa. Ma ci sono cittadini che, se sospettano assembramenti, ci chiamano e noi dobbiamo uscire.

P. Ma, non è che me li avete spaventati i ragazzi? Che già è un’impresa farli uscire di casa, ma io insisto per il loro bene, un’ora - quando va bene - al giorno. Fuori da casa, dalle videolezioni, i compiti, la TV, il computer, la Play Station, YouTube, Instagram. Un po’ d’aria, il sole e attività motoria. Non è che ora mi dicono che non vogliono uscire più perché, vedi papà, anche i Carabinieri non vogliono?

C. No, no. Stia tranquillo. Ma faccia così: se per errore li avessimo spaventati, mi chiami in Caserma che usciamo di nuovo e parliamo ancora coi suoi tre figli. Per spiegare meglio.

P. D’accordo. Grazie molte e buon lavoro.

C. È fortunato ad avere questi spazi, se li goda.

Ah, i suoi tre figli, mi ha poi detto il papà, non erano per nulla spaventati. E, contenti, han raccontato tutto ai loro nonni.

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